Hopper a Roma

La mostra è bella. Mi ha fatto scoprire un Hopper a me meno noto (quello dei paesaggi). Anche se il mio preferito resta quello in grado di dipingere il vuoto, la distanza e il silenzio tra gli esseri umani. Soprattutto quello che ha saputo guardare e raffigurare le donne. Donne moderne, avvolte in una sensualità distante. Donne molto sole. Un pittore, un uomo, che ha saputo guardare nelle finestre per cogliere l’attimo, per inseguire sguardi sfuggenti e luci improbabili. Per fermare istanti.
Ma soprattutto per me Hopper è il corrispondente pittorico di Carver. Lo stesso stile. Le stesse persone che popolano i due mondi immaginari. Chi mi conosce lo sa.
Così è stato bellissimo, alla fine della mostra, scoprire un libretto di Aldo Nove dal titolo “Si parla troppo di silenzio” (potrebbe essere il titolo di una raccolta di racconti di Carver), con un accattivante sottotilo: Un incontro immaginario tra Edward Hopper e Raymond Carver.
Il libro non è un capolavoro, ma l’ho divorato perchè molte delle riflessioni dell’autore sono quelle che hanno guidato anche me alla scoperta parallela dei due artisti. Si imparano, poi, particolari interessanti delle due biografie.
Ne riporto un breve brano: “Siamo tutti quasi sempre altrove rispetto a dove siamo, tutto il giorno, tutta la notte – lo incalza la donna- quasi sempre….Invece le cose, se le vediamo sospendere, s enoi ci sospendiamo, accadono, come adesso. Ed è bellissimo aspettare, anche solo un attimo, è sempre quell’attimo di attesa, quel momento di indugio prima di andare avanti, che ci fa essere in un posto….”
E la musica, la canzone da abbinare a tutto questo, facendo un bel salto nel tempo e nello spazio, è “Autogrill” di Guccini

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